venerdì 27 gennaio 2012

Le recensioni di Eugenio Sanchez Molina (II Parte)


  Eugenio Sanchez Molina all'uscita di un Matinée, (in castigliano, Diurno)


"L'unica differenza fra me e Salvador Dalì è che io non uso il profumo al cardamomo"

Eugenio Sanchez Molina, il Critico teatrale dei Giuristi per Naso, sempre alla ricerca di perle trascurate dalla critica tradizionale e asservita ai poteri forti dello spettacolo, raddoppia: dopo la recensione di Lavori in Corso,  eccolo alle prese con un altra performance alternativa (o, forse, alternativa alla performance) che, nobilitata dal suo stacco  sottilmente unico, assurgerà alla giusta gloria:  

Vendita Carne Bovina
(Fausto)
(di Markus - vignette di Principe Myskin)


In un oscuro teatrino del quartiere San Lorenzo, di dimensioni veramente ridotte, va in scena, con straordinario successo, uno dei più singolari one-man-show della stagione, Vendita carne bovina”. Si tratta di una potente performance di un attore noto soltanto con il nome di battesimo di Fausto, che ci invita a riflettere sulla mercificazione dell'essere umano con una messinscena cruda e straordinariamente incisiva.
Memore dell'insegnamento di Otto Muehl, Fausto, separato dal pubblico da una sorta di struttura in metallo e vetro, è in piedi su un tavolato: singolare residuo di quello che nel teatro d'antan è il palcoscenico, che, in questo ambiente angusto e opprimente, assume un ruolo tutt'altro che confortante. Fausto ha numerosi coltelli, è circondato da quarti di bue, e, con gesto provocatorio, li seziona.
Certo, siamo molto vicini al teatro della crudeltà di Peter Stein; evidentissimi paiono gli echi delle sue messinscene più fortunate, quali Tito Andronico Cannibal ferox II. Ma non sfugge un singolare sberleffo: gli animali sacrificati in questa, singolarmente trattenuta, ecatombe orgiastica non sono vivi, ma già morti.
Tutto il teatro è finzione, sembra così dirci Fausto, non questo vi deve inorridire, ma quello che succede fuori di qui. Perché qui dentro tutto è finzione; e il fatto che le finte macchie di sangue sul suo grembiule siano, apparentemente, di vero sangue non fa altro che accrescere la sensazione di sgomento, mentre la straordinaria presenza scenica dell'interprete, la sua voce roca, il suo sguardo folle, parlano direttamente alla nostra coscienza non innocente.
Ma la parte più innovativa dello spettacolo di Fausto sta nel rapporto che il performer instaura con il pubblico. Ad uno ad uno, gli spettatori si avvicinano alla separazione, pronunciano qualche parola; Fausto avvolge i pezzi delle sue vittime sacrificali in carta paglierina e li porge agli spettatori, chiedendo in cambio del denaro.
Raramente abbiamo visto, nell'ultima stagione, una metafora così potente e personale della bestialità della guerra e una riflessione così acuta sul rapporto fra la violenza e la società capitalista. Vecchie signore, giovani madri, tranquilli pensionati, sono tutti ansiosi di scambiare il denaro con la carne, la morte con altra morte, trascinati dallo spietato ingranaggio.
Ci lasciamo trascinare dall'emozione; anche noi, spingendo e sgomitando, ci avviciniamo a Fausto, gli porgiamo una banconota, e ci facciamo consegnare un brandello di vita sacrificata per il nostro egoismo.
Inarrivabile.


Le prime fans, peraltro devotissime, sulle tracce del Nostro Critico

Voto: 5 stelle su 5. 

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